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Anestesia e terapia del dolore: innovazioni, sfide e speranze per i pazienti

La gestione del dolore, soprattutto quello cronico, rappresenta una delle sfide più complesse e al tempo stesso più importanti per la medicina moderna. Accanto alle innovazioni tecnologiche in ambito anestesiologico, stanno emergendo approcci multidisciplinari e nuove prospettive terapeutiche che aprono spiragli di speranza per milioni di pazienti.
Ne abbiamo parlato con il Dott. Gian Marco Petroni, dell’UOC di Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore dell’Ospedale Santa Maria di Terni, che ci ha raccontato le principali novità e le criticità del settore.


1. Quali sono oggi le principali innovazioni in ambito anestesiologico che hanno cambiato la pratica clinica negli ultimi anni?

«La principale innovazione in ambito anestesiologico è sicuramente la diffusione capillare dell’ecografia, che ha consentito lo sviluppo e la divulgazione delle tecniche di anestesia locoregionale. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale dell’utilizzo di tali tecniche, grazie a colleghi pionieri come il Dott. Pierfrancesco Fusco e al lavoro delle società scientifiche, in particolare ESRA (European Society of Regional Anesthesia), che con il capitolo italiano rappresenta un punto di riferimento per i locoregionalisti.
L’anestesia locoregionale oggi permette di eseguire molti interventi senza ricorrere all’anestesia generale, garantendo un recupero più rapido, una copertura antalgica prolungata e una significativa riduzione nell’uso di oppioidi».


2. Il dolore cronico è una vera e propria malattia. Qual è oggi l’approccio più efficace per la sua gestione? È possibile “rieducare” il cervello a non percepire il dolore? Ci sono terapie non farmacologiche promettenti?

«Certo, il dolore cronico è una malattia. Una svolta importante è arrivata nel 2019, quando è stato ufficialmente inserito nell’ICD-11, acquisendo piena dignità come entità clinica autonoma.
L’approccio più efficace è multimodale e multidisciplinare: raramente un singolo farmaco o una sola procedura sono risolutivi; è invece necessario costruire un percorso che intrecci più strategie terapeutiche.
Fondamentale è anche l’aspetto psicologico: il dolore cronico è un’esperienza complessa e multidimensionale, influenzata da fattori biologici, cognitivi, emotivi e comportamentali. Per questo rivestono un ruolo centrale approcci come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) e la Mindfulness.
Con grande orgoglio comunico che, grazie all’impegno del Dott. Andrea Sanapo, nel nostro centro attiveremo a breve un servizio dedicato a queste terapie innovative».


3. Le tecniche interventistiche (blocchi nervosi, radiofrequenza, impianti) sono sempre più usate. In quali pazienti sono indicate?

«C’è grande fermento nello sviluppo di tecniche interventistiche mirate a ridurre il dolore e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Si va dai blocchi di fascia, utili nella sindrome miofasciale cronica, alla neurolisi mediante radiofrequenza termica o chimica, fino ai dispositivi impiantabili come pompe intratecali e neurostimolatori.
Nel nostro centro ci occupiamo in particolare di neurolisi mediante radiofrequenza termica dei rami sensitivi afferenti alle grandi articolazioni (anca, spalla e ginocchio). Questa procedura è indicata in pazienti con dolore cronico da osteoartrosi che non possono sottoporsi a chirurgia o nei rari casi in cui il dolore persiste dopo un intervento di protesi.
Inoltre, portiamo avanti uno studio clinico approvato dal comitato etico regionale sull’utilizzo di cellule mesenchimali e componente vasculo-stromale per la rigenerazione articolare. La medicina del dolore è un ambito in continua evoluzione e avrebbe bisogno di un percorso di specializzazione dedicato: questa è una delle sfide più grandi che ci troviamo ad affrontare».


4. Secondo lei, i centri di terapia del dolore in Italia sono sufficientemente distribuiti e accessibili?

«Nonostante la Legge 38/2010 garantisca il diritto all’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, la realtà è che i centri non sono distribuiti in maniera omogenea sul territorio e i tempi di attesa sono spesso molto lunghi.
In questo scenario, un ruolo importante è svolto dall’AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore) che, oltre a promuovere ricerca e divulgazione, offre un supporto concreto ai pazienti, mettendo a disposizione sul proprio sito un elenco aggiornato dei principali centri italiani, con modalità di accesso e referenti».


5. Quali sono le principali criticità organizzative che incontra un medico del dolore nel Sistema Sanitario Nazionale?

«La prima difficoltà è la scarsa consapevolezza della portata del problema. Il dolore cronico è un “compagno invisibile” che affligge migliaia di persone, spesso 24 ore su 24, intaccando la vita sociale, emotiva, relazionale ed economica del malato.
Purtroppo, la medicina del dolore riceve ancora poche risorse. La carenza di personale porta spesso a spostare gli anestesisti verso altri servizi, con il risultato che visite e procedure interventistiche vengono rimandate e i pazienti restano in attesa.
Esistono però grandi centri di riferimento in Italia, dove la disciplina ha una sua dignità strutturale con unità operative complesse e personale dedicato».


Che messaggio vorrebbe lasciare ai pazienti che convivono ogni giorno con il dolore cronico?

«Vorrei lasciare un messaggio di incoraggiamento: in Italia ci sono molti medici e centri che affrontano la medicina del dolore con passione, costanza e umanità, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone.
Invito i pazienti a consultare il sito dell’AISD, dove possono trovare informazioni preziose per individuare il centro più adatto alle proprie esigenze».

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