Come sta cambiando l’anestesia? Il webinar sull’anestesia loco-regionale
Da generale a regionale, come sta cambiando l’anestesia? 1900 partecipanti al webinar dedicato all’anestesia loco-regionale.
Questo è stato il titolo del webinar dedicato all’anestesia loco-regionale (ALR) organizzato dal dottor Fausto D’Agostino, medico anestesista e rianimatore, presidente del Centro Formazione Medica. Lunedì 7 novembre, da remoto e con oltre 1900 iscritti collegati, i massimi esperti nazionali di ALR si sono confrontati sul potenziale di questa tecnica anestesiologica, in preparazione del grande seminario che si terrà il prossimo 10 dicembre, intitolato “Blocchi neuro assiali e blocchi nervosi periferici, due pianeti non troppo lontani” e organizzato sempre dal Centro Formazione Medica.
“Sono onorato di essere riuscito a coinvolgere i massimi esperti nazionali per un dibattito su un tema di rilievo nel settore anestesiologico – ha sottolineato Fausto D’Agostino – quello dell’anestesia loco-regionale è infatti un ambito in costante evoluzione, con tecniche che portano sicuramente dei benefici per i pazienti. Con questo incontro abbiamo voluto divulgare in modo approfondito l’ALR sia verso i professionisti sanitari sia verso i pazienti. Il Centro Formazione Medica, infatti, si pone l’obiettivo di diffondere temi scientifici di estrema attualità, grazie alla collaborazione di professionisti, focalizzandosi sulla formazione, quale costante crescita professionale”.
Dalla protesi al ginocchio alla cardiochirurgia, l’ALR non ha, potenzialmente, limiti. La possibilità di poter iniettare l’anestetico esattamente intorno al nervo, oppure all’interno di fasce che contengono nervi, con il prezioso supporto dell’ecografo, significa poter gestire l’anestesia a livelli selettivi mai sperimentati prima, andando ad addormentare solo la parte su cui si opera, lasciando il paziente vigile. Questo comporta una serie di vantaggi non solo dal punto di vista del recupero post-operatorio, molto più veloce, ma anche in termini di minor occupazione delle rianimazioni. Nel lungo termine questa tecnica potrebbe anche essere utilizzata nella medicina d’urgenza sul territorio (ad esempio in elisoccorso) o per gestire il dolore cronico.
È uno tsunami, come lo hanno definito i relatori, un’ondata straordinaria che sta già cambiando il modo con cui si somministra l’anestesia. Ma senza un’adeguata formazione degli specialisti e una corretta comunicazione verso i pazienti, si rischia di vanificare questo potenziale.
Anestesia generale e anestesia a blocchi, differenze e potenzialità
“Oggi utilizziamo queste due tecniche (blocchi neuro assiali e blocchi nervosi periferici) in ambiti che fino a qualche anno fa erano impensabili – ha esordito Piefrancesco Fusco, medico anestesista e rianimatore del Presidio Ospedaliero San Salvatore de L’Aquila – dalla cardiochirurgia alla chirurgia toracica, fino ad arrivare anche all’emergenza, anche se su questo ultimo aspetto, soprattutto sulla gestione delle emergenze sul territorio, c’è ancora molto da lavorare per diffondere cultura e formazione tra gli stessi medici. Non ultimo è da rimarcare lo sforzo che noi medici stiamo facendo per traslare queste tecniche e portarle dal dolore acuto post-operatorio al dolore cronico”.
Se, da un lato, l’anestesia generale va comunque considerata una tecnica sicura e rimane un riferimento per qualsiasi anestesista, negli ultimi anni la ricerca ha evidenziato come questa tecnica, seppur ben condotta, comporti effetti collaterali importanti, come problemi respiratori, cardiaci, il delirio postoperatorio e altri.
“A questo va aggiunto anche il fatto – ha commentato Fabrizio Fattorini Professore Università di Roma “Sapienza” – che gli oppioidi, capisaldi della anestesia generale, sono sempre più indicati tra fattori più importanti per la cronicizzazione del dolore, tanto che si parla sempre di più di anestesie opioid free, in cui la componente oppioide sia nulla o comunque ridotta. E, da ultimo, non va dimenticato che l’uso di vapori e gas anestetici contribuisce peraltro anche all’inquinamento ambientale con possibili ricadute anche e soprattutto sugli operatori sanitari. I vantaggi dell’ALR sono, al contrario molti, anche quando va associata a sedazioni di vario grado (ad esempio con i bambini): l’anestesia loco-regionale lascia il paziente libero di respirare spontaneamente, non c’è bisogno di intubare e l’omeostasi corporea non viene praticamente intaccata. Un esempio su tutti: durante la recente epidemia da COVID-19, l’ALR è stata da tutti pienamente riconosciuta come la tecnica più sicura nel trattamento dei pazienti con questa infezione, non solo per il paziente, ma anche per gli operatori sanitari stessi. Tanto che tutte le società scientifiche hanno tramutato queste osservazioni in vere e proprie linee guida”.
L’ecografo sta diventando uno strumento indispensabile
Per effettuare l’anestesia loco-regionale è indispensabile l’uso dell’ecografo. “Questa tecnica – ha esordito Raffaele Perna dell’Ospedale di Palestrina, Roma – a differenza dell’anestesia subaracnoidea ed epidurale che iniettano l’anestetico negli omonimi spazi, va a iniettare l’anestetico esattamente intorno al nervo, oppure all’interno di fasce che contengono nervi e in quelle fasce si possono posizionare dei cateterini, per poter poi gestire l’analgesia. Per fare questo, per iniettare con questa precisione millimetrica, ci vuole l’ecografo, che viene comunque utilizzata anche negli altri tipi di anestesia”.
“L’ecografo– ha sottolineato Fabio Costa del Policlinico Universitario “Campus Bio-Medico” di Roma –è fondamentale per i blocchi nervosi periferici e di fascia, perché permette di vedere la struttura nervosa che altrimenti non riusciremmo a identificare e quindi non potremmo neanche stimolarla col neuro stimolatore”. Ci sono però alcuni casi in cui l’ecografia mostra i suoi limiti: “Quando dobbiamo intervenire su un nervo come quello sciatico (il più grande)- continua Costa – noi andiamo con l’ago sotto visione, a ridosso del nervo sciatico, ma qui l’ecografia non può andare oltre, perché ha una potere di soluzione di circa un millimetro. Non riusciamo a vedere la struttura né a vedere esattamente la punta dell’ago dove è posizionata. In questo caso, il neuro stimolatore ci aiuta a garantire che non siamo in una posizione pericolosa. Quindi il neuro stimolatore non va mai abbandonato. L’anestesista deve averli entrambi in tasca, ecografo e neurostimolatore”.
I limiti dell’anestesia loco-regionale….
In realtà, non ce ne sono. “L’ ALR si può praticare in tutti i pazienti – ha rimarcato Mario Tedesco, Direttore Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Mater Dei Hospital di Bari – ad esempio, la protesi al ginocchio si può condurre sia con un’anestesia spinale – quindi con un blocco neuroassiale – sia con blocchi periferici, senza andare a toccare la schiena, ma bloccando solo i singoli nervi della gamba. Così possiamo fare un intervento che prima si faceva con anestesia generale o in anestesia spinale. I limiti possono riguardare alcuni pazienti “scoagulati” (quelli che assumono farmaci anticoagulanti) o che assumono altri farmaci che non hanno avuto la possibilità di sospendere in tempo. Oppure, si può provare a far sospendere i farmaci e si attendono i tempi tecnici per poter procedere con l’ALR anche in questi pazienti. Direi quindi che l’anestesia generale è sempre controindicata quando c’è la possibilità di farne una loco-regionale”.
…..e i vantaggi
Uno degli indubbi vantaggi di questa tecnica, al di là di far rimanere vigile il paziente, è la possibilità di evitare i ricoveri in rianimazione. Come ha affermato Roberto Starnari, dell’ IRRCS INRCA di Ancona: “Le anestesie loco-regionali in genere non impattano sulle funzioni organiche, sui sistemi fisiologici dei pazienti, anche di quelli più fragili. Quando invece utilizziamo un’anestesia generale, di fatto ci sostituiamo ai meccanismi funzionali del paziente. Un esempio molto conosciuto, purtroppo, è quello della ventilazione meccanica. L’anestesia generale incide pesantemente sul sistema, azzera l’equilibrio originario del paziente durante l’intervento, e poi dopo, nel post-operatorio, questo equilibrio va ritrovato, e non sempre si riesce perfettamente. In questi casi, occorre una permanenza più o meno lunga in rianimazione, un settore che andrebbe destinato a chi ha appena subito interventi di una certa gravità. In rianimazione poi è noto che può aumentare il rischio di contrarre infezioni, e anche di delirio da parte dei pazienti. Quindi, se si può evitare la generale, è meglio”.
Un altro vantaggio riguarda la possibilità di bloccare il dolore nel post-operatorio: “Un paziente che non prova dolore non avrà stress post chirurgico- ha ribadito il dottor Perna – e in questo l’ALR può aiutare: fino al 2012 si credeva che il Gold standard per evitare il dolore nel post operatorio fosse l’epidurale. Da dieci anni si sta invece valutando anche l’ALR, perché la possibilità di poter inserire cateterini nelle fasce permette di controllare in modo efficace il dolore post-operatorio”.
A proposito di dolore, l’ALR potrebbe essere in grado anche di gestire quello cronico, come ha spiegato Giuseppe Sepolvere, responsabile servizio di Anestesia e Rianimazione presso Casa di Cura San Michele di Caserta: “Sono in corso studi che confermano come le fasce siano dotate di un sistema nervoso proprio, che può diventare un bersaglio per colpire i nostri nervi. Quindi l’ALR si potrebbe usare per il dolore cronico, anche se va sempre associata ad altre terapie”.
L’ALR in cardiochirgurgia: sì, è possibile
Si tratta di un ambito molto recente, ma in cui si vedono ottimi risultati: avere la possibilità di poter gestire il dolore acuto cardiochirurgico, che è un dolore molto importante soprattutto nelle prime ventiquattro ore, permette al paziente, ad esempio, di essere velocemente estubato. Oggi è possibile effettuare questo tipo di chirurgia riducendo molto gli oppioidi, proprio grazie all’ALR, limitando quindi gli effetti collaterali di questi farmaci. “Pensiamo a un paziente che deve essere operato per un intervento di una certa entità – ha aggiunto Sepolvere – ad esempio per la sostituzione della valvola mitralica: con l’impiego dell’ALR, il paziente può essere estubato entro un paio d’ore dall’ingresso in terapia intensiva. Avere pazienti intubati per pochissime ore significa evitare, ad esempio, atelettasie (assenza di aria e collasso di una porzione o di tutto il polmone) oppure complicanze respiratorie o sovra infezioni che potrebbero prolungare il ricovero in rianimazione. Con questi blocchi abbiamo quindi la possibilità di gestire il dolore acuto e anche cronico, di tutta la parete toracica: anteriore, laterale e posteriore.”
Operare con la chirurgia robotica…e il paziente sveglio
È successo all’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari) e l’anestesista di questo intervento era Carmine Pullano, che oggi opera presso la Casa di Cura privata Villa Pia di Roma e che ha raccontato questa esperienza durante il webinar. Si trattava di operare un tumore epatico maligno con il robot, ma il paziente, a causa di problemi respiratori, non poteva essere sottoposto ad anestesia generale. Si è quindi proceduto con un’anestesia periferica che permettesse il controllo del dolore e del movimento durante tutto l’intervento in respiro spontaneo, in cui il paziente è stato sveglio: “È stata una splendida occasione che mi è stata offerta dai giovani colleghi baresi – ha spiegato Pullano – è stata usata l’ALR in laparoscopia, cosa che non si vede di frequente perché, erroneamente, si pensa che questa anestesia non sia adatta a questo tipo di interventi. Ma oltre a essere laparoscopico, questo intervento era anche robotico quindi poneva una serie di problemi legati al fatto che il paziente non poteva assolutamente muoversi, in quanto era collegato al robot con dei bracci meccanici rigidi, fissi nell’addome. È andato tutto bene”. Il paziente è rientrato a domicilio in perfette condizioni generali a 72 ore dall’intervento chirurgico.
Comunicazione e formazione, le due sfide da vincere
Oltre a dover fare cultura tra la classe medica sull’importanza ( e l’esistenza) di queste tecniche, è importante formare in modo adeguato i futuri specialisti e quelli che già operano nelle strutture. Perché se l’anestesia generale è ben conosciuta, non si può dire altrettanto per quella loco-regionale.
“Ogni settimana si organizzano corsi scientifici anche da parte di ESRA, la Società europea di anestesia regionale – ha ripreso Fattorini, prossimo presidente di questa società – si cerca di diffondere la cultura di questa anestesia, promuovendo anche collaborazioni con altre società scientifiche: tutto questo lavoro che capillarmente viene fatto ai congressi e nelle università trova la sua collocazione nel congresso nazionale che quest’anno si terrà Perugia tra poco, dal 17 al 19 novembre”.
Per Costa la formazione universitaria, purtroppo, non basta: “Per acquisire queste tecniche bisogna fare molta pratica, assistiti da un tutor. La scuola migliore in questo senso dovrebbe essere quella di specializzazione, ma non tutte le scuole sono allineate. Chi è specialista ad oggi deve formarsi con corsi al di fuori dell’università”.
Ma oltre alla formazione, bisogna investire tempo anche nella comunicazione con il paziente.
“Questa comunicazione non è mai ottimale – ha concluso Starnari – perché alla fine prevale l’opinione dell’anestesista, che però non è sempre formato su tutte le tecniche disponibili. Tutti sono preparati sull’anestesia generale, pochi su quella loco-regionale”.